I Castelli di Napoli
Murazione Aragonese
La murazione aragonese di Napoli fu iniziata nel giugno 1484, sotto il regno di Ferrante. Considerata una delle massime espressioni dell'architettura difensiva quattrocentesca, la murazione scaturiva dall'esigenza di rafforzare le protezioni della Capitale, soprattutto all'indomani della presa di Otranto nel 1480 da parte ottomana. Essa andava a sostituire l'obsoleta cortina angioina, con una struttura più rispondente alle nuove esigenze difensive, derivanti dall'introduzione delle artiglierie. La nuova struttura partiva dal castello angioino dello Sperone, di cui oggi è ancora riconoscibile la torre Brava, unico elemento superstite riferibile a tale fortificazione, con la Torre Spinella. La prima torre del nuovo impianto difensivo prende il nome dall'architetto, allievo di Francesco di Giorgio Martini, che partecipò alla realizzazione dell'opera, insieme a Giuliano da Maiano, a Fra Giocondo da Verona, al duca di Calabria Alfonso, ed ad Antonio Marchesi da Settignano, cui è dovuto il completamento. Lo sviluppo della nuova fortificazione, a delimitazione del lato orientale della Capitale, fu di circa due chilometri e comprese venti poderosi torrioni di forma cilindrica e scarpati alla base.
Lo spessore dei tratti di cortina colleganti i suddetti torrioni arrivava in alcuni casi anche a 7 metri, ed era costituito da blocchi di tufo giallo. Il lato rivolto verso la campagna era rivestito in blocchi di piperno grigio, ad elevata resistenza. Ciascuna torre era completamente piena, in modo da poter offrire la massima resistenza passiva al tiro delle bombarde d'assedio. Il dislivello tra il primo torrione, ubicato su via Marina, e quello del Salvatore, alla fine di via Cesare Rossarol, è pari a 28 metri.
Tale differenziazione altimetrica, creò non pochi problemi di collegamento tra i singoli elementi della struttura. I singoli manufatti si presentano dimensionalmente variabili, soprattutto per quanto concerne il diametro. In particolare quest'ultimo risulta funzione dell'angolo esposto: il diametro cresceva quanto più la torre sporgeva all'esterno dell'angolo costituito dalle cortine convergenti. Le artiglierie difensive erano concentrate esclusivamente sul livello di copertura. La murazione sul lato orientale della città di Napoli assume un preciso riferimento storico – urbanistico inquadrabile in una visione ampia ed unitaria di riordino di un tessuto edilizio antichissimo pervenuto agli aragonesi e che peraltro scaturisce anche dalla diretta necessità di includere nel nuovo tracciato quanto lasciato fuori dalla precedente murazione angioina. La distanza non costante tra i singoli capisaldi difensivi non è ascrivibile a motivazioni di carattere strategico o strettamente militare. La concentrazione di un consistente numero di torri nell'area della dimora reale della Duchesca evidenzia piuttosto un esigenza di protezione politica. Anche la discontinuità della murazione nel tratto settentrionale, in contrapposizione con la linearità del tratto precedente, deriva in buona misura dal prevalere di interessi privati sulle esigenze difensive. Tecnicamente l'opera architettonica si inquadra nella fase dell'architettura militare di transizione, ossia della produzione di manufatti difensivi realizzati a partire dalla seconda metà del XV secolo per fronteggiare gli incalzanti progressi delle artiglierie. Queste, introdotte sui campi di battaglia già nel corso del XIV secolo, avevano reso progressivamente obsolete le strutture difensive medievali, caratterizzate da insufficienti spessori murari nei confronti dei pur rudimentali proiettili in pietra, oltre che dall'eccessivo sviluppo verticale delle torri e delle cortine stesse. Si sviluppò quindi una corrente di progettazione, facente capo prevalentemente al noto architetto senese Francesco di Giorgio Martini, che produsse una serie di soluzioni tecniche che determinarono un sostanziale cambiamento delle architetture militari: le alte torri furono sostituite da robusti torrioni cilindri di ridotta altezza, di elevato diametro e con grossi spessori di muratura. Il contenimento dello sviluppo verticale venne accompagnato da una maggiore profondità dei fossati che circondavano la fortificazione, allo scopo di nascondere il più possibile le strutture alla vista dell'attaccante, defilandole al tiro delle artiglierie d'assedio. La fragile merlatura di coronamento venne sostituita da altra di adeguato spessore ed anche le cortine murarie di collegamento tra i vari capisaldi mutarono di aspetto, ribassandosi in altezza ed aumentando considerevolmente in profondità. Dotate di postazioni difensive per le artiglierie sia in copertura che a livelli inferiori in casamatta per l'applicazione del principio del tiro radente che sostituiva definitivamente quello antichissimo piombante, già elemento cardine delle concezioni difensive medievali, sia le torri che le cortine realizzate in questo periodo vennero dotate di una vistosa scarpatura, ovvero di una superficie inclinata verso l'esterno che garantiva maggiore stabilità alle strutture destinare a sopportare il peso e le sollecitazioni delle artiglierie allontanando contemporaneamente la minaccia delle mine.
Nel corso del XVI secolo, in epoca vicereale spagnola, la murazione sul lato orientale sopravvisse intatta al rinnovamento prodottosi sotto Pedro di Toledo, che portò alla realizzazione di una moderna cinta bastionata a delimitazione della città. Contrariamente alla totale demolizione subita da quest'ultima a partire dalla metà del XVIII secolo, la murazione orientale resistette sostanzialmente integra fino al periodo post-unitario subendo poi una parziale demolizione durante le opere di risanamento. Di un complesso di 21 poderosi torrioni cilindrici e di due chilometri di murazione oggi sopravvivono 14 torri e vari tratti, alcuni consistenti, di cortine murarie, il tutto aggredito direttamente, con la sola eccezione di porta Capuana, da un edilizia abitativa di pessima qualità ed assolutamente fatiscente.
Testi a cura di Luigi Maglio